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Centro studi sull'affresco: esecuzione dell'affresco

Centro studi sull'affresco: esecuzione dell'affresco

L'esecuzione dell'affresco: dalla sinopia al cartone, dallo spolvero alla pittura. Il centro studi sull'affresco rispolvera questa tecnica eccellente

Sinopia

affresco sinopia

Il disegno del bozzetto va riportato (con l'aiuto della quadrettatura) sull'arricciato per poter vedere l'effetto nella dimensione definitiva.

Questo lavoro, che poi scompare sotto l'intonaco, prende il nome di sinopia perchè generalmente veniva fatto con una terra rossa proveniente dalla città di Sinope (Turchia).

Alcune sinopie possono venire alla luce quando si scrosta o cade l'intonaco dipinto. Così è successo in alcuni ritrovamenti pompeiani che hanno rilevato anche le "battiture dei fili". 
Una bella serie di sinopie rinascimentali è raccolta nel Museo dei Campo dei Miracoli a Pisa, e sinopie di estremo interesse sono quelle del Pisanello, scoperte nel Palazzo Ducale di Mantova, le quali furono intonacate senza che il pittore completasse l'affresco.
Altri esempi: Vicenza, Palazzo Leoni Montanari, sala dei fauni; Assisi, Chiesa inferiore di S. Francesco, cantoria della Cappella di S. Stanislao.

L'uso della quadrettatura, che facilita la trascrizione dal piccolo al grande formato, fu una innovazione del sec. XV e il primo esempio si trova nella Trinità del Masaccio in Santa Maria Novella.

Cartone

affresco cartone

Dalla sinopia o dal bozzetto si ricavano i "cartoni" che sono disegni in grandezza definitiva e possono essere dipinti in modo particolareggiato come studio per l'affresco.

Gli antichi e gli orientali, compresi molti bizantini, lavoravano senza preparare nè sinopie nè cartoni, perchè la loro esecuzione era basata su schemi fissi imparati a memoria. I giotteschi eseguivano soltanto la sinopia e poi lavoravano a memoria. Nella Cappella degli Scrovegni in Padova si possono notare alcune incertezze di Giotto dovute alla mancanza del cartone.
L'uso sicuro dei cartoni comincia solo nel primo periodo della Rinascenza. Ciò permise, specie per affreschi di piccole dimensioni, di fare a meno della sinopia, la quale è effettivamente necessaria solo sulle grandi superfici dove è utile per determinare la composizione generale.

I cartoni hanno avuto un periodo di grande importanza quando venivano preparati da artisti che affidavano poi agli allievi la pittura dell'affresco. Così fece Tiziano che eseguì i cartoni per l'affresco dipinto dai seguaci nella Chiesa di Pieve di Cadore, purtroppo distrutta nel sec. XIX.

Spolvero

affresco spolvero

Il procedimento di passaggio dal cartone all'intonaco si chiama "spolvero" e consiste nel bucherellare i contorni del disegno e passare sui buchi un colore in polvere che si fissa sulla malta riproducendo la sagoma delle figure.

Lo spolvero avviene anche passando sul cartone (in questo caso carta leggera) una punta che lascia un solco sulla malta. Questo solco è rintracciabile in quasi tutti gli affreschi dal Cinquecento in poi. Se si trovano solchi in affreschi precedenti, come per esempio a Paestum o in alcuni affreschi medievali, essi sono dovuti ad un abbozzo di disegno tracciato con una punta direttamente sulla malta senza trasporto dal cartone.

Pittura

affresco pittura

Per incominciare la pittura, la superficie deve "tenere" sotto il pennello: deve "tirare", cioè l'umido quasi oleaoso della calce di superficie deve trattenere i colori consentendo una certa manovrabilità di impasto e fusione di tinte.
Solo la pratica dà all'affreschista la sensibilità necessaria a giustamente operare.

I primi colori applicati vanno messi con toni caricati perchè l'umidità dell'intonaco li dissolve con rapidità e quindi li indebolisce. Le sovrapposizioni devono essere fatte dopo un breve intervallo per dare ad ogni stesura il tempo di fissarsi.

Gli antichi preparavano il chiaroscuro in monocromia (bianco, nero e bruno) e poi applicavano i colori. Così facevano specialmente coloro che finivano il lavoro a tempera. Così dimostrò di fare il Correggio nel Duomo di Parma dove alcune parti, che non furono ultimate, sono rimaste in bianco e nero e altre risultano completamente a tempera.
Anche Michelangelo dipingeva sopra una base chiaroscurale, ma eseguiva tutto a fresco.
Alcuni pittori trattano l'affresco come l'acquarello, applicando il colore a velature (Pordenone).
Altri, dopo aver piazzato le masse principali e averle fuse, rifiniscono l'opera con caratteristici tratteggi (Veronese a Villa Maser).
Si usa anche la stesura ad impasto, tipica del Seicento e del Settecento: il colore viene steso "a corpo", a volte alterando la superficie dell'intonaco, ma con la conseguenza di esporlo maggiormente al deposito della polvere.
Sull'intonaco fresco si possono anche soffiare i pigmenti in polvere, specie quelli insolubili in acqua.

Alla fine della giornata, quando il muro comincia ad ascuigare, non si può più dipingere.
Si può passare qualche velatura con acqua di calce, la quale però, se non è limpidissima, abbassa i toni e li rende alquanto opachi. Michelangelo nella volta si è servito di queste velature, anche su superfici grandi come tutta la figura.

Qualora vi fosse la necessità di sospendere il lavoro, in previsione di riprenderlo nel giro di qualche ora, si protegge la parte fresca con un panno umido o con un telo di plastica che trattenga l'umidità. Alla ripresa della pittura la superficie viene inumidita di nuovo e i colori vengono stemperati in acqua di calce. Questo procedimento non presenta le medesime garanzie di solidità del vero affresco, in quanto l'intonaco in parte già secco assorbe molto meno i pigmenti e la carbonatazione avviene solo in superficie.

Nella malta si possono anche inserire elementi diversi, intesi a costituire un insieme polimaterico illusivo, ad esempio le sfere di vetro nei nimbi in S. Salvatore a Brescia (VIII sec.); oppure la vera pergamena in mano a Gesù Bambino della Maestà di Simone Martini a Siena; o l'inserimento di fogli di cera stampigliati (secondo la tecnica tedesca della Pressbrokate) nell'Annunciazione del Pisanello a S. Fermo di Verona; o ancora la stoffa della bandiera nell'affresco di Amico Aspertini (XV sec.) nell'oratorio di Santa Cecilia a Bologna.
Curioso infine il documento di acquisto di vetri, pietre, smalti e lamine metalliche di vario tipo da parte di Gentile da Fabriano per la decorazione della perduta Cappella del Broletto di Brescia.

Verniciatura

Non è necessario verniciare gli affreschi, ma è stato fatto spesso.

I Romani usavano rivestire l'affresco con uno strato di cera mescolata con olio seccativo o volatile. 
Su diversi affreschi del 500 è stata passata una mano di cera a guisa di vernice finale.
Leon Battista Alberti consiglia una mano di mastice sciolto in cera e olio, facendolo penetrare con una fonte di calore.

Oggi si può usare la cera d'api diluita nell'acquaragia o nella benzina. Tale cera va stesa col pennello e strofinata con la lana. Questa cera può essere usata come veicolo degli stessi colori per effettuare delle velature dove serva per ripristinare delle tinte troppo sbiadite o dove sia necessario portare delle variazioni di tono.