Note tecniche dell'affresco
Indice articoli
Il muro ed il rinzaffo, l'arricciato (pozzolana, marmorino e cocciopesto), l'intonaco ed il tonachino (spessore e giornate), la calce, la sabbia, i colori per l'affresco e gli attrezzi (pennelli e tavolozze).
Il muro ed il rinzaffo
Il muro, di sassi o di mattoni, deve essere sano sotto ogni punto di vista, cioè senza macchie di unto, senza chiodi o pezzi di legno, né deve presentare stuccature di gesso o tracce di cemento, ed è importante che appoggi in luogo asciutto, perché l'umidità è il nemico principale dell'intonaco.
Se vi sono zone di salnitro o di muffe è consigliabile dare una mano di acido cloridrico che bruci tutto e poi lavare copiosamente, ma la presenza del salnitro denota già una situazione che non offre serie garanzie per il futuro (un muro non adatto all'affresco).
Il rinzaffo, composto di sabbia grossa e di calce, è la prima grossolana stesura di malta, utile a livellare le diverse sporgenze dei sassi.
Il cemento, il salnitro e le muffe
Il muro di cemento sul quale si compie un intervento è soggetto al movimento dell’umidità entro la struttura capillare, ed è possibile che una parte dei sali solubili, presenti nel cemento, migrino verso l’intonaco e riaffiorino al di sopra, formando strutture cristalline che rovinano il colore.
Il nitrato di potassio è il sale di potassio dell'acido nitrico. A temperatura ambiente è un solido cristallino incolore, dal sapore leggermente amarognolo, solubile in acqua. È comunemente noto anche con il nome di salnitro o nitro.
In natura si può trovare in ambienti umidi, quali cantine, grotte e stalle, dove è possibile l'azione dei batteri nitrificanti e si presenta come una specie di lanugine bianca che ricopre la superficie del muro.
La muffa costituisce un problema in aree chiuse come cantine e bagni. Può essere vista su muri e soffitti, con una crescita che non si ferma a uno strato superficiale, intaccando la robustezza della parte e producendo peraltro un odore pungente e caratteristico (l'odore di muffa). Le muffe che crescono sui muri possono essere causa della rovina di affreschi e pitture.
L'arriccio
E' malta di calce e sabbia. Va gettato sopra il rinzaffo nello spessore di circa 1 cm lasciandone la superficie grezza (il bel termine toscano "arriccio" indica il movimento rotatorio del frattazzo che lascia le tracce a riccioli) per favorire l'adesione dello strato successivo.
A seconda delle abitudini locali l'arricciato può essere fatto di con pozzolana, con polvere di marmo o con cocciopesto al posto della sabbia, il che è raccomandabile in casi di rischio di umidità (pozzolana, marmorino e cocciopesto).
Qualora si voglia ottenere dei valori plastici in rilievo, l'arricciato può avere diversi spessori. A Spoleto, nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, c'è una testa di Cristo in rilievo inserita nel contesto del dipinto (sec. XII) e a Roma nella Chiesa del Gesù si può osservare un affresco del Baciccia con figure e architetture sporgenti fino a diversi centimetri.
Pozzolana
La pozzolana è una piroclastite sciolta, varia dal limo alla sabbia, con inclusi ghiaiosi costituiti da pomici e scorie. Si estrae principalmente nei Campi Flegrei, da cui prende il nome (polvere di Pozzuoli).
Da un punto di vista vulcanologico, rappresenta i prodotti eruttivi della IV fase di attività della caldera flegrea.
La pozzolana è stata usata per la prima volta dai Romani, che la impiegavano per produrre una sorta di cemento a pronta presa (per quei tempi), l'opus coementicium, in grado di fare presa anche sott'acqua e di durata straordinariamente lunga; l'uso di questo impasto facilitò anche la costruzione di cupole di grande ampiezza, in quanto la presa più rapida facilitava il lavoro delle centine.
Marmorino
E' un intonaco di finitura a base di calce spenta e polveri di pietra, di marmo. E' così chiamato essendo l'imitazione più natutale del marmo sia nella composizione che nell'effetto finale.
Con la tecnica del marmorino è possibile addirittura creare superfici ad imitazione del marmo, riproponendo tonalità e venature proprie della pietra vera. Per la caratteristica proprietà di lasciar traspirare l'intonaco pur in condizioni di estrema criticità, il marmorino trovò la sua culla nella città di Venezia, dove la forte umidità da risalita creava non pochi problemi all'edilizia abitativa oltre che a quella monumentale.
Cocciopesto
Il nome cocciopesto si riferisce al materiale ottenuto con la frantumazione di tegole o coppi. Esiste anche una varietà meno pregiata, con aggregato ottenuto dalla frantumazione di mattoni, che viene a volte denominata mattonpesto.
Una delle caratteristiche dell'intonaco di cocciopesto, oltre alla capacità di far presa anche in ambienti non a contatto diretto con l'aria, era di essere colorato in pasta e pertanto poteva fare a meno dello strato colorato di tinteggiatura.
La tecnica era conosciuta fin dai Fenici, come testimoniano ad esempio i pavimenti dei siti archeologici di Selinunte e Solunto in Sicilia, ma fu perfezionata dai Romani (opus signinum) che utilizzavano il cocciopesto come impermeabilizzante, così come lo descrive Vitruvio, oppure come materiale per pavimentazione e intonaci.
L'intonaco, il tonachino
E' malta di calce e sabbia fina ed è la parte su cui si dipinge.
Spessore
Il suo spessore è di pochi millimetri.
Ai tempi di Vitruvio la preparazione per l'affresco era costituita da ben 3 strati di arriccio e 3 di intonaco con sabbia di granulazione sempre più fina come per la lavorazione del marmorino. In seguito dal II secolo d.C. si usò 1 strato di arriccio ed 1 strato di intonaco.
Gli intonaci di Pompei erano molto spessi e raggiungevano i 7-8cm e così essi trattenevano a lungo l'umidità e permettevano di dipingere grandi superfici che si mantenevano fresche per molto tempo. Per conservare ancora più a lungo l'umidità, i pittori dell'antichità introducevano nella malta paglia e stoppa.
Non si tratta mai comunque di regole fisse, perché le condizioni cambiano a seconda delle disponibilità e delle necessità. Vi sono infatti anche dei casi in cui il rinzaffo e l'arriccio mancano del tutto e l'affresco è eseguito su un sottilissimo strato di malta stesa sulla pietra: alcuni esempio ad Assisi nella Basilica di S. Francesco (sec. XIII), a Feltre nel santuario di S. Vittore (sec. XIII), a Firenze sulle colonne dell'ex Chiesa di S. Pietro Scheraggio (sec. XIII) ora incorporata nell'ingresso della Galleria degli Uffizi, a Utrecht (cappela del Vescovo Guy d'Avennes, sec. XIV).
Giornate
Si deve stendere ogni mattina la parte di intonaco che va dipinta nel giorno stesso. Il pittore deve quindi programmare i confini delle porzioni successive, dette "giornate", e il muratore deve aggiungere la malta in modo preciso, senza sormontare o scalfire la parte dipinta.
I romani eseguivano l'affresco a "pontate", ossia a spazi permessi dall'ampiezza dell'impalcatura. L'uso delle pontate si mantiene finché le grandi superfici sono dipinte con una tecnica piuttosto sommaria, facilitata anche dalla semplicità del disegno e dall'impiego di moduli iconografici fissi.
E' nel secolo XIII che si matura la tecnica del "buon fresco" e una spia precisa di questo processo è proprio il passaggio dalle "pontate" alle "giornate" di intonaco. Nello stesso cantiere di Assisi, nel giro di pochi anni (da Cimabue e Giotto) assistiamo alla stesura a pontate per passare alla stesura a giornate che segnano i contorni delle figure, fino alla suddivisione in vere e proprie giornate.
Spetta a Giotto compiere una sintesi formale e tecnica delle esperienze precedenti e a lui parallele, impostando le basi del procedimento che impronterà la pittura murale italiana dei secoli successivi. Tuttavia anche nel percorso di Giotto sono presenti opere che non rientrano nello schema del buon fresco. E' il caso della Cappella Peruzzi in Santa Croce eseguita quasi interamente a secco con intonaco a pontate; anche nella Cappella Bardi il restauro ha evidenziato un ampio ricorso a colori a tempera dovuto alla grande estensione delle giornate.
La superficie dell'intonaco deve essere spianata e levigata. Gli affreschi che hanno meglio resistito nel tempo risultano disuperficie liscia e compatta e sono caratteristici del 300 e del 400. Nei secoli seguenti si andò privilegiando la superficie granulosa che evitava i riflessi e aveva un senso di maggiore luminosità, ma col tempo la pittura ha sofferto perché sull'intonaco si sono depositate facilmente le polveri.
Per rendere liscia la superficie si può aggiungere la polvere di marmo: 1 parte di calce + 1 parte di sabbia + 1 parte di polvere di marmo.
Alcuni suggeriscono di dare una mano di acqua e sapone (di Marsiglia) onde ottenere na superficie ancora più liscia e rendere più agevole lo scorrere del pennello.
La parte di intonaco che eventualmente non si è riusciti a dipingere deve essere abbattuta, ed il lavoro viene ripreso il giorno successivo su un nuovo intonaco. A questo proposito abbiamo una precisa e curiosa testimonianza ad Assisi, nella Chiesa inferiore di S. Francesco, nell'accesso alla Cappella di S. Antonio Abate e anche all'interno della Cappella stessa dipinta da Giotto e seguaci: il lavoro è stato sospeso senza che sia stato tolto il tonachino eccedente e su questo si notano alcuni tocchi di pennellate di prova.
La calce
La calce è ottenuta dalla cottura di sassi calcarei nella fornace a legna e dal successivo spegnimento in fossa.
CaCO3 —> CaO + CO2
il carbonato di calcio attraverso la cottura libera l'anidride carbonica e rimane l'ossido di calcio che è la calce viva.
Ca + H2O —> Ca(OH)2
la calce viva si spegne nell'acqua e diventa idrato di calcio cioè calce spenta.
Plinio consiglia di usare la calce spenta da almeno 3 anni. Secondo la maggioranza degli specialisti 1 anno è sufficiente per evitare la cosidetta "fioritura dei bottoni" che possono comparire a danno della pittura. Si può valutare che la calce è ben spenta quando si appiccica come colla al ferro della cazzuola, mentre non è ancora pronta se la cazzuola esce pulita.
Generalmente per l'affresco si preferische la calce untuosa detta "grassello". Per accertarsi della buona qualità del grassello se ne scioglie una piccola quantità in un recipiente d'acqua, se il giorno seguente si è formata una pellicola alla superficie dell'acqua significa che la calce è buona, cioè in grado di essere ben carbonata.
E' anche utile avere sempre a disposizione:
- Latte di calce che è grassello allungato con acqua quel tanto che basta per essere steso col pennello;
- Acqua di calce che è il liquido limpido che rimane sopra la calce quando si lascia riposare il latte di calce.
La sabbia
Normalmente è sabbia di fiume. C'è chi la preferisce di cava o di frantoio, perchè le particelle sono spigolose e vengono più facilmente compatte, rendendo più liscia la superficie dell'intonaco.
In ogni caso la sabbia non deve contenere impurità, tipo terra, vegetali, residui animali o altro.
Per lavare la sabbia la si mette in bacinelle d'acqua che va cambiata finchè esce limpida. La sabbia lavorata va ascuigata al sole e setacciata. La grana più fina è quella idonea all'ultimo strato di intonaco.
I colori per l'affresco
I colori si sciolgono in acqua, perciò devono essere macinati a grana finissima. L'alcalinità della calce non permette di usare tutti i colori come nelle altre tecniche pittoriche. In passato la tavolozza del frescante era molto ristretta. Da un paio di secoli le indagini scientifiche hanno permesso di allargare la gamma con pigmenti artificiali di resistenza assoluta: I colori per la pittura a fresco.
Alcuni affreschisti sciolgono i colori con acqua di calce, che va a favorire il processo di carbonatazione. Si usa anche il latte di calce: in questo caso il colore risulta più sostanzioso, non trasparente, addirittura smorto e si ravviva solo inumidendo la superficie dipinta.
Si deve far attenzione al cambiamento di tono: i colori asciugandosi tendono a schiarire. Occorrono almeno 3 settimane per giudicare l'effetto approssimativo. Per tale motivo è bene provare la tinta sopra la cosiddetta "pietra di paragone" che è un blocco di terra d'ombra naturale, o sopra un pezzo di gesso che assorbe immediatamente il colore, oppure sopra un mattone caldo.
Ma specialmente è opportuno, dopo l'acquisto di ogni partita di colori, prima di iniziare a lavorare, fare la prova di resistenza alla calce. Ogni colore va mescolato con un po' di calce, conservando le mescolanze in poltiglia per 3/4 giorni. Lo stesso si fa mescolando il colore con la malta.
Inoltre i colori vanno stesi su intonaco fresco, curando di tardarne l'asciugamento per qualche giorno. Le stesse tinte si stendono su intonaco quasi asciutto.
Ognuna di queste prove singolarmente offre indicazioni di resistenza alla calce ed il confronto di tutte le prove è utile per vedere quali sono i colori che variano di tono o cedono in brillantezza.
Le doti che devono avere i colori per l'affresco sono:
- resistenza alla calce
- conservazione della qualità
- crescita di tono
- acquisto in brillantezza.
Quei colori che danno segno di variazione perdendo in brillantezza o in qualità sono da rifiutare perchè col tempo finirebbero col distruggersi completamente.
Gli attrezzi
Pennelli e tavolozze
Pennelli di setola e di pelo, lunghi e flessibili, rotondi e piatti, con le setole legate con lo spago.
I pennelli più delicati, tipo martora o vajo, sono indicati per le finiture munite e per le velature.
Possono completare l'attrezzatura:
- pennelli a pettine
- penne di uccelli
- spugne.
Le possibilità espressive che offre la superficie fresca possono anche esulare da interventi strettamente cromatici, per cui è possibile l'uso di ferri e stecchi per ottenere graffi, incisioni, lisciature ed altro.
Come tavolozza è utile una superficie impermeabile come una lastra di vetro (con reticolo) oppure di zinco o di plastica.
Per le grandi superfici si preparano le tinte in vasi di vetro